8 Dicembre 2018
Perché non ha giocato mio figlio? Va d’accordo coi suoi compagni di squadra? Perché non è titolare? Come si comporta? Perché non è convocato alla gara di questo weekend? Si apre con gli istruttori? A che ora la convocazione? Perché non è tra i prescelti staffettisti? Qualcuno ha preso le scarpe di mio figlio? E molte, molte altre.
“I migliori atleti da allenare sono gli orfani” si sente spesso dire da allenatori di varie discipline sportive.
I genitori sono però anche coloro che iscrivono il proprio figlio a quella pratica, che pagano le quote e che lo accompagnano tutte le settimane agli allenamenti e alle gare.
Sono quindi da considerare delle “rogne”, dei “rompiscatole” con cui evitare ogni tipo di contatto e dialogo che vada oltre il saluto, o delle persone da educare e coinvolgere nel giusto modo con la società?
Si, coinvolgere perché ci sono anche i genitori che non sanno nemmeno in che ruolo gioca il figlio, come si chiama il suo istruttore e cosa gli piaccia di quello sport.
A volte quindi troppo invadenti, altre volte troppo assenti. Come trovare il giusto mezzo?
I genitori vanno educati allo sport. Spesso è la loro prima esperienza di questo tipo, o forse in buona fede ci piace pensare così. Conoscerli può quindi essere un buon punto di partenza: all’inizio dell’anno sportivo sarebbe interessante che allenatori e dirigenti incontrassero i genitori per illustrare le modalità di svolgimento della disciplina e di organizzazione della società, la gestione delle comunicazioni con la famiglia, la rilevanza dell’autonomia del figlio, ma anche del loro ruolo di accompagnamento e sostegno, l’importanza della loro presenza in alcuni momenti e della loro assenza in altri, comunicando così delle regole. Senza mai dare nulla per scontato.
Informare, il primo passo di questo percorso educativo, che non previene né risolve tutti i problemi, ma inizia a gettare le fondamenta per un percorso di crescita come sportivo e come persona.